Capitolo II
Titolo
Siamo riusciti a raggiungere due punti fermi: la data di creazione della pretura peregrina e le ragioni che condussero all'istituzione di questo magistrato.
E' necessario esaminare ora il titolo attribuito al pretore peregrino e al pretore urbano, il confronto ci aiuterà a stabilire le rispettive sfere di competenza.
In epoca repubblicana il pretore urbano era designato con il titolo “praetor urbanus” (1); questa fu la terminologia ufficiale, sostituita a volte dall'altra “praetor qui inter cives ius dicit”.
Il primo titolo, quello ufficiale, è riportato dalla “lex Plaetoria” nel S.C. de Bacchanalibus" (del 186 a.C.) nella “Tabula Heraclensis” (forse del 45 a.C.); il secondo compare invece nella “lex Papiria de sacrarnentis” (fra il 242 e il 123), nella “LexAgraria" (del 111 a.C.). Lo stesso Lido nel “De Magistratibus” (I,38) usa il titolo di “πραίτορ οΰρβανός” corrispondente greco di “praetor urbanus”. Fu dunque questo il titolo più frequente.
In epoca imperiale, troviamo il termine (2) “qui ius dixit inter cives et cives et peregrinos” in una iscrizione della prima metà del III sec. d.C.; questo uso è dovuto al fatto che in quell'anno il pretore urbano ricoprì anche la pretura peregrina. Questo fenomeno ci riporta all'epoca repubblicana, durante la quale casi del genere non furono infrequenti (3).Venivano cioè affidate entrambe le “iurisdictiones” ad uno dei due magistrati e ciò avveniva per ordine del Senato o al momento della “sortitio” oppure ad opera di uno dei due pretori che trasferiva la propria giurisdizione all'altro. Era questo un sistema che evidenziava una distinzione di competenza fra i due colleghi, ma questo è un argomento che tratterò nel luogo opportuno.
Riguardo al pretore peregrino le fonti fanno menzione di tre titoli; “praetor qui inter peregrinos ius dicit”, “praetor qui inter cives et peregrinos ius dicit” e “praetor peregrinus”. In ordine di tempo il primo è “praetor qui inter peregrinos ius dicit” che troviamo in fonti dell'epoca repubblicana quali la “Lex Acilia repetundarum” (del 123, 122), la “Tabula Heraclensis” (del 45 a.C.) , la “lex Rubria” (49-42 a.C.) (4).
Troviamo questa denominazione anche in documenti epigrafici in greco come in un'iscrizione di Dyrne (del II sec. a.C.) nel trattato con Tyrrheion (del 94 a.C.) nel “S.C. de Ascepiade Clazomenio sociisque” (del 78 a.c.) (5).
In questi documenti il titolo è reso in greco con “τω̣̃ έπί τω̃ν ξένων στρατηγω̣̃” (iscrizione di Dyme), dove quell'”έπί“ significherebbe “pretore” (che ha la giurisdizione) fra stranieri” o anche “sugli stranieri” o semplicemente “pretore per i peregrini”.
Il titolo così indicato riguarderebbe tutte quelle liti in cui “anche una sola delle parti fosse straniera (6) e quindi inplicherebbe che nella “iurisdictio peregrina” fossero comprese, oltre le liti fra due parti straniere, anche quelle fra uno straniero e un cittadino. L'interpretazione proposta riceve conferma dal fatto che si tratta di documenti ufficiali (vd. ad esempio il “S.G. de Asclepiade Clazomenio” che contiene l'equivalente del titolo greco in latino), di testi cioè, in cui si può supporre che la terminologia dovesse essere usata in modo preciso. Infine il fatto che i due testi si trovino affiancati (come appunto nella tavola bronzea bilingue contenente il “S.E. de Asclepiade Clazomenio) prova l'equivalenza dell'uso e molto probabilmente del significato (7).
Tra gli scrittori repubblicani Tito Livio ci tramanda i titoli di “iurisdictio”, “sors”, “provincia peregrina” e “inter peregrinos”, che doveva aver ripreso dalle fonti che aveva a disposizione.
Per ciò che riguarda l'Impero vediamo che il titolo “praetor qui inter cives et peregrinos ius dicit” infine viene in uso come termine atecnico “praetor peregrinus”.
Dobbiamo fare qui (8) una distinzione in fatto di fonti, giacché nei documenti ufficiali e nei testi legislativi il termine costantemente in uso è il primo, mentre presso gli scrittori e generalmente nel linguaggio atecnico li troviamo tutti e tre.
Ne abbiamo un riscontro in testi come l'”Edictum Augusti de acquaeductu venafrano” (sicuramente posteriore alla “Lex Julia iudiciorum privatorum” del 17 a.C.), la “Lex Quinctia de acquaeductibus” (del 9 a.C.).
Per quanto riguarda invece il linguaggio comune dei giuristi, degli scrittori e dei cronisti l'uso della terminologia, come dicevo, non è cosi netto come lo è per il linguaggio legislativo.
E' già stato accennato come Livio ad es. usi parlare sia di “ìurisdìctio (sors, provincia) inter peregrinos”, che di iurisdictio (sors, provincia) peregrina” (9).
Per quanto riguarda infine l'ultimo termine “praetor peregrinus”, esso compare sin dai primi anni dell'impero; il Daube (10) afferma invece che tale terminologia sarebbe apparsa per la prima volta all'età di Vespasiano; ma la testimonianza di alcuni (11) frammenti scoperti nel 1867-1869 “in luco fratrum Arvalium” ci permette di appoggiare semmai l'opinione opposta allo scrittore inglese. Questi frammenti, che fanno menzione dei fasti degli anni 2 a.C. (752) - 37 d.C. (790) contengono oltre i nomi dei consoli anche dei pretori urbani e peregrini che vengono designati con il titolo “urbanus” e “peregrinus”.
I pretori del 19 d.C., ad esempio, vengono indicati così:
M. Satrius Valens urb(anus)
M. Claudius Marcell(us) per(egrinus).
L'argomento è tutto a favore della tesi secondo cui il titolo “praetor peregrinus” sarebbe stato usato prima dell'età di Vespasiano.
Ma torniamo all'esame del titolo e in particolare al periodo in cui si affermò i nuovo titolo di “praetor qui inter cives et peregrinos ius dicit”.
Il Daube parte dal presupposto che la giurisdizione del pretore peregrino fosse limitata inizialmente ai rapporti “inter peregrinos” e che solo sotto Augusto questo magistrato avrebbe esteso la propria competenza anche alle liti con i cittadini. Tale assunto viene giustificato col fatto che il cambiamento di denominazione si sarebbe avuto al tempo di Augusto (12). Lo scrittore inglese pur ammettendo la possibilità che il nuovo titolo avesse cominciato ad affermarsi già anteriormente e che per gradi il pretore peregrino arrivò a “ius dicere” in controversie “inter cives et peregrinos”, sostiene che (13) “From Augustus at the latest, the peregrine praetor supervises both case (a) and case (b)”, ossia i casi “inter peregrinos” (a) e “inter cives et peregrinos” (b).
E' senza dubbio questo il punto di vista del Daube, il quale viene condotto a dare, su questa base, una interpretazione forzata al testo di Pomponio (D. 1.2.2.28) relativo all'avvenimento del 242 a.C..
Lasciamo per il momento questo problema, che troverà il luogo opportuno nella trattazione relativa alla competenza e torniamo ad esaminare invece il problema del periodo in cui si affermò il nuovo titolo.
Le prove portate dal Daube a favore della sua tesi sono deboli e non riguardano strettamente il problema del titolo, anzi in fatto di terminologia l'autore non adduce alcuna prova.
Al contrario, già molto tempo prima che intervenissero le leggi di riforma augustee assistiamo ad indubbie interferenze fra le due “iurisdictiones”. Quando cioè cominciarono ad affievolirsi le caratteristiche proprie di ciascun pretore, tanto da perdersi la ragione di una rigida demarcazione in fatto di competenza, il pretore peregrino potè “iusdìcere” anche “inter cives”.
Il mutamento in questo senso si ha a partire dalla “Lex Aebutia”; in virtù di questa legge il sistema formulare, prima usato nella corte peregrina solo “inter peregrinos, viene in uso anche per i “cives”, pur potendo usare questi ultimi ancora il sistema delle “legis actiones”.
Una prova sicura (14) in fatto di competenza del pretore peregrino sui “cives” l'abbiamo nella “lex Agraria Epigrafica” del 111 a.C.. Innanzitutto in essa (15) non si fa menzione di una giurisdizione speciale: infatti latini, peregrini e romani, sono sottoposti tutti alla medesima disciplina giurisdizionale, in base alla 1.30 che rinvia alle 11.33-40, identico quindi il sistema processuale.
In secondo luogo (16) l'autorità giurisdizionale competente per tali controversie era la stessa, il “praetor”. Se fosse stato il pretore urbano, questi avrebbe avuto competenza sia “inter cives” che fra stranieri; se invece fosse stato competente il collega peregrino, questi avrebbe ampliato la sua competenza sino a comprendere liti fra soli “cives”.
Ciò che comunque è rilevante per noi in questa legge (17) è l'uso del medesimo rito processuale per latini, “peregrini” e “cives”. Tutto ciò dimostra l'affievolirsi della distinzione in fatto di competenza determinato dalla mancanza di differenze nel “modus agendi” nelle rispettive preture.
Del resto, le norme procedurali contenute in questa legge rispondevano ad una prassi consolidatasi con l'entrata in vigore della “lex Aebutia” che fu emanata per garantire i cittadini con un rito più spedito rispondendo così ad una esigenza sentita da tempo (Gai IV. 30).
A seguito dunque dei rilievi forniti dall'esame della “lex Agraria Epigrafica” si può affermare che, dal 111 a.C. il pretore peregrino poteva “ius dicere inter cives et peregrinos”. Si può affermare ciò in considerazione del fatto che la legge indicando il pretore quale autorità giurisdizionale non lo qualifica: quindi sia l'uno che l'altro potevano essere competenti in entrambe le “iurisdictiones” (18).
Il mutamento di competenza ci viene attestato dalle fonti soltanto a partire dalla “lex Julia iud. priv.”; ma in pratica abbiamo visto che ciò avvenne circa un secolo prima con la “1ex Agraria”.
La “lex Julia” rappresentò il punto di arrivo e la legalizzazione di un sistema che aveva cominciato a mostrare i suoi primi segni da tempo. La “1ex Aebutia" aveva avviato questo processo di rinnovamento con il rendere applicabile in entrambe le corti uno stesso “modus agendi”; la “lex Agraria” del 111 a.C. recepì in pieno le direttive di quella legge riformatrice rendendo praticamente esecutiva la procedura formulare anche “inter cives”.
Tutto questo fu portato poi a compimento dalla “lex Julia iud. priv.” che non fece altro che ratificare uno stato di fatto esistente da tempo, esplicitandolo nel titolo usato per designare la nuova competenza attribuita al pretore peregrino (vd. l'”Edictum Augusti de acquaeductu venafrano” successivo alla “lex Julia” del 17 a.C.).
Le conclusioni alle quali perviene il Dauhe sono dunque errate; egli infatti afferma che (19) “a change of this kind in terminology normally reflects a change in substance”, ossia il passaggio da “praetor qui inter peregrinos ius dicit” a “praetor qui inter cives et peregrinos ius dicit” rifletterebbe un mutamento sostanziale di competenza, avvenuto a partire soltanto da Augusto.
Questa è una conclusione che va corretta sia nella sostanza per ciò che riguarda l'ampliamento di competenza, sia per ciò che riguarda il periodo in cui tale ampliamento sarebbe avvenuto; per quanto riguarda invece il titolo usato dalle fonti, l'”Edictum Augusti de acquaeductu venafrano”, rappresenta il testo ufficiale nel quale appare il nuovo titolo.
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(1) F. Serrao, La “Iurisdictio” del potere peregrino, Milano, 1954, p.18.
(2) D. Daube, The peregrine praetor, in Journal of Roman Studies, London, 1951, p.66.
(3) F. Serrao, op. cit., p.19 nt.11.
(4) F. Serrao, op. cit., p.19.
(5) F. Serrao, op. cit., p.20.
(6) F. Serrao, op. cit., p.20.
(7) F. Serrao, Recensione critica di D. ARRIAT, Le preteur peregrin, Paris, 1955, in iura VIII, parte II, 1957, p.533 nt.5.
(8) F. Serrao, op. cit., p.140.
(9) F. Serrao, op. cit., p.139.
(10) D. Daube, op. cit., p.66.
(11) F. Serrao, op. cit., p.139 nt.3.
(12) D. Daube, op. cit., p.68.
(13) D. Daube, op. cit., p.68.
(14) F. Serrao, op. cit., p.121.
(15) F. Serrao, op. cit., p.72.
(16) F. Serrao, op. cit., p.73.
(17) F. Serrao, op. cit., p.73.
(18) F. Serrao, op. cit., p.73.
(19) D. Daube, op. cit., p.67.