Cronache da una guerra antica

Nel libro I° dell'Eneide dopo aver subito le ire degli dei che provocano la deviazione della navigazione degli esuli troiani dalla patria loro destinata dal fato, Enea ed i suoi compagni trovano riparo ed ospitalità presso Didone, regina di Cartagine.
Le azioni divine si alternano a quelle umane e un clima sereno e conviviale subentra alla tempesta degli elementi causata dal divino.
Il libro II° dell'opera nella sua prima parte contiene il rapporto degli avvenimenti conclusivi della guerra di Troia, il più ampio a noi pervenuto dall'antichità.
In un contesto conviviale segnato da una intesa affettiva con la regina Didone, Enea si accinge a raccontare i fatti di quella tremenda guerra e quindi, la comparsa di un gigantesco cavallo di legno ritenuto dai troiani un dono, la vicenda di Laocoonte, il discorso di Sinone, Ettore, Elena, Cassandra, Astianatte, Priamo, Achille, Pirro, Neottolemo: un mutamento di personaggi e di scene. La mente e la parola di Enea tornano ad un passato sentito come un bene perduto. La distruzione della propria città.
Nella seconda parte del libro II° si narra la vicenda dell'eroe troiano in fuga con la sua famiglia dalla patria in fiamme, Troia, conquistata dai Greci mediante l'inganno dopo lunghi anni di conflitto.
La visione di Nettuno, Giunone, Minerva, Giove, prelude alla narrazione della fuga dalla città in fiamme. Interviene la madre dell'eroe, la dea Venere, per rassicurarlo ed esortarlo all'azione; sopraggiunge l'esitazione del padre Anchise a lasciare la patria; il prodigio divino del figlio Ascanio; la scomparsa della moglie Creusa e la ricerca disperata di lei da parte di Enea; il discorso profetico e di addio di Creusa; la rinuncia alla riscossa da parte di Enea e il ricongiungersi finale con i compagni per la partenza. 
Dobbiamo collocare l'opera in un più ampio programma voluto dall'imperatore Augusto di ricostituzione del tessuto sociale attraverso il recupero dei valori della tradizione, il mos maiorum, quale valore fondativo della città.
L'Italia e Roma erano state il teatro delle guerre civili ed era necessario raccontare le glorie del passato e i personaggi di quelle storie: sarebbero diventati i nuovi modelli per le future generazioni. Venivano posti in risalto i protagonisti delle più importanti imprese del passato che avevano mostrato il dovuto rispetto per gli dei, lo stato e la famiglia, valori riassunti nella pietas.
Grazie alla virtù augustea della pietas, l'eroe troiano risulta giustamente investito del compito di fondare la nuova patria, e nel sottolineare questa virtù Virgilio fa risaltare un passato da emulare. La dedizione di Enea verso il proprio dovere simboleggia e rispecchia lo spirito stesso dell'età di Augusto. La pace ed un ritorno alla tradizione come rimedi fondamentali.   

Secondo il grammatico del IV secolo d. C. Elio Donato, l'autore dell'opera, Publio Virgilio Marone lesse questo II° libro, insieme al IV° e al VI° all'imperatore Augusto prima della pubblicazione, che sarebbe avvenuta postuma e incompleta, essendo il poeta deceduto prematuramente. Virgilio  avrebbe voluto che fosse distrutta l'opera, in quanto insoddisfatto, ma fu salvata per volere dell'imperatore stesso che pare più volte ne avesse sollecitata la conclusione al poeta.  

La versione qui riportata della seconda parte del libro II°, dal verso 588 sino al termine del libro medesimo, è tratta dalla traduzione dal latino di Cesare Vivaldi dell'Eneide, Garzanti Editore, 1990.
"Cosi dicevo, stravolto dall'ira; quand'ecco la santa
mia madre, splendida come non l'avevo mai vista,
presentarsi ai miei occhi, fulgente nella notte
di una luce purissima. Si rivelò vera Dea,
grande come la vedono di solito solo i Celesti;
mi trattenne, afferrandomi, e con la bocca rosata
mi disse: "Che dolore eccita la tua collera
indomita? Perché non t'infurii, e non hai cura
né di me né dei tuoi? Corri prima a vedere
il padre Anchise stanco per la vecchiaia, Creusa
tua moglie e il piccolo Ascanio, se sono ancora vivi!
Intorno a loro i Greci s'aggirano da ogni parte;
senza la mia protezione le fiamme li avrebbero già
raggiunti e la spada nemica li avrebbe già trafitti.
Non fu l'odioso volto della Spartana, né Paride
maledetto a distruggere la potenza troiana,
gettandola giù dal culmine della sua altezza, ma fu
l'ostilità degli Dei. Sì, degli Dei. Tu guarda
(sgombrerò quelle nubi che t'offuscano i poveri
occhi d'uomo e che intorno s'addensano, umidicce:
non temere i consigli di tua madre e obbedisci
ai suoi ordini): qui, dove vedi macerie
di case e sassi sconvolti, dove vedi fluttuare
una nube di polvere e fumo, Poseidone
col suo tridente rimuove i muri e le fondamenta,
distrugge la città completamente. Qui
la feroce Giunone ha occupato per prima
le porte Scee e furiosa, armata di tutto punto
chiama l'esercito amico dalle navi ... Più in là
(guarda indietro) Minerva, splendente in un nembo
di luce terribile ed armata con l'Egida
medusea, s'è innalzata in cima alla rocca.
Lo stesso Giove incoraggia i Greci, e li asseconda,
spingendo gli Dei contro le armi troiane.
Figlio, prendi la fuga, desisti dai tuoi sforzi!
Ti sarò sempre accanto, ti condurrò senza rischio
alla casa paterna." Così detto, scomparve
tra le ombre fittissime della notte. In un lampo
m'appaiono le figure terribili degli Dei
nemici di Troia...
Oh, allora tutta Troia mi sembrò sprofondare
tra le fiamme e crollare! Come quando sui monti
i contadini a gara si sforzano d'abbattere
un orno antico infierendo sul suo tronco con molte
scuri: l'immensa chioma tremolante minaccia
di cadere ed oscilla ai colpi, finché vinto
dalle ferite l'albero a poco a poco geme
per l'ultima volta e strappato dal suo pendio rovina.
Discendo per le strade sconvolte e con l'aiuto
celeste riesco a passare tra il fuoco e tra i nemici;
le frecce mi rispettano, le fiamme si ritirano.
Ma quando giungo alla soglia dell'antica dimora
familiare, mio padre, che volevo portare
per primo in salvo sui monti, rifiuta di vivere ancora
dopo la fine di Troia e soffrire l'esilio.
"Voi - mi dice - che avete il sangue giovane e sano,
voi che siete nel pieno delle forze, fuggite ...
Se gli abitanti del cielo avessero voluto
prolungarmi la vita, avrebbero salvato
la patria. Mi è bastato aver visto una volta
la mia città distrutta, la rovina, le stragi.
Lasciate che il mio corpo qui riposi, così:
saluratelo e andate! Troverò presto morte
per mano del nemico, che avrà pietà di me
e vorrà le mie spoglie. Rinunziare al sepolcro
non m'è difficile. Andate! Da troppi anni prolungo
quest'inutile vita, inabile, inviso ai Celesti:
da quando Giove padre dei Numi e re degli uomini
soffiò su di me il suo fulmine e mi toccò col fuoco." 
Cosi diceva, ben fermo nel suo triste proposito.
Invano ci sciogliamo in lacrime, io, Creusa,
Ascanio, tutta la casa, perché Anchise desista
da questa volontà di distruggersi (sé
ed ogni cosa), aggravando la sorte che ci minaccia.
Egli rifiuta di muoversi. Allora un'altra volta
mi preparo a gettarmi nella mischia, volendo
morire. Che cos'altro mi restava da fare?
Che sorte mi si offriva? "Padre, speravi davvero
che io potessi fuggire senza di te? Parole
cosi tremende uscirono dalla tua bocca? Se i Numi
vogliono che non resti più nulla d'una città
cosi grande, se proprio l'han deciso, e se tu
desideri che tutti moriamo, insieme a te,
la porte della morte è spalancata: già
sta per venire Pirro coperto del sangue di Priamo,
Pirro che uccide il figlio davanti al padre e il padre
davanti al sacro altare. O madre venerata,
per questo, mi hai salvato attraverso le frecce,
attraverso le fiamme? Perché veda il nemico
entrarmi in casa, Ascanio, mio padre (e Creusa accanto)
morti l'uno nel sangue dell'altro? Armi, o guerrieri,
portaterni delle armi! Questo è l'ultimo giorno
per i vinti, e ci chiama. Ritorniamo tra i Greci,
lasciatemi combattere di nuovo! Moriremo
tutti, dal primo all'ultimo, ma non invendicati."
Allora mi copro nuovamente di ferro,
adatto al braccio lo scudo ed esco dal palazzo.
Ma proprio sulla porta mia moglie mi si getta
ai piedi, e me li abbraccia tendendomi lulo:
"Se corri a morire porta con te anche noi,
ovunque: se invece per tua esperienza riponi
ancora fiducia nelle armi che hai preso,
anzitutto difendi questa casa. A chi lasci
il piccolo Iulo, tuo padre e me, che pure
una volta chiamavi la tua cara consorte?"
Creusa riempiva la casa di gemiti. Quand'ecco
nascere all'improvviso un prodigio incredibile.
Mentre piangendo baciamo e accarezziamo Iulo,
una lingua leggera di fuoco parve accendersi
in cima alla sua testa: una fiamma impalpabile
e innocua, che lambiva i morbidi capelli
del bimbo e gli guizzava tutt'intorno alle tempie.
Atterriti, tremanti di paura, scuotiamo
quei capelli infuocati, cercando di spegnere
la fiamma sacra con l'acqua. Ma Anchise sollevò
gli occhi alle stelle, con gioia, e tese al cielo le mani
dicendo: "Giove, tu che puoi tutto, se accetti
''di lasciarti commuovere dalle preghiere umane,
getta uno sguardo su noi! Solo questo ti chiedo.
E se la nostra pietà lo merita, da' un segno,
padre santo, conferma questo lieto presagio!"
Aveva appena parlato che subito da sinistra
rullò il tuono e una stella caduta dal firmamento
corse attraverso la notte tracciando una scia luminosa.
La vediamo sfiorare il tetto di casa nostra
scintillando e nascondersi - come per indicare
la strada - nelle selve dell'Ida: il suo percorso
rimane illuminato a lungo e tutt'intorno
si diffonde un vapore penetrante di zolfo.
Vinto da questo miracolo mio padre si leva e parla
ai Celesti, adorando la sacra stella. "Non più,
non più indugi - ci dice: - vi seguirò, dovunque
mi portiate. Dei patrii, salvate la mia gente,
salvate mio nipote! Riconosco l'augurio
che mi fate e comprendo che ancora proteggete
Troia. Più non rifiuto di accompagnarti, o figlio!"
Già si sente man mano più netto il crepitio
del fuoco che brucia per tutte le mura:
le fiamme s'avvicinano. "Caro padre, su, adattati
sulle mie spalle già pronte a sorreggerti: il peso
non mi imbarazzerà. Dove andremo il pericolo
sarà comune e comune sarà la salvezza. Iulo
che è piccolo mi accompagni, Creusa mi venga dietro
di lontano. Voi, servi, state a sentire: appena
fuori città c'è un colle con un vecchio santuario
di Cerere, abbandonato, gli s'innalza vicino
un antico cipresso, venerato per anni,
sacro ai nostri antenati: riuniamoci tutti lì
andandovi ognuno per una strada diversa. 
Tu, padre, prendi in mano i sacri arredi e i Penati
della patria: sarebbe un sacrilegio se io
li toccassi - così lordo di strage, uscito
appena dalla battaglia - senza essermi lavato
in una viva corrente ..."
Ciò detto, disteso sulle spalle un mantello
e una fulva pelliccia di leone, mi chino
a ricevere il peso del padre. Alla mia destra
s'attacca con la manina il piccolo Iulo, seguendo
coi suoi piccoli passi quello lungo del babbo.
Dietro viene mia moglie. Prendiamo per le strade
più buie, ed io che prima non temevo né i dardi
scagliatimi da ogni parte né i battaglioni greci,
ora tremo per ogni venticello, per ogni
suono, attonito e ansioso per mio figlio e mio padre.
M'appressavo alle porte e già mi sembrava
d'aver superato tutti i rischi della via
quando un fitto rumore di passi all'improvviso
(mi parve) s'avvicinò; e mio padre guardando
nell'ombra disse: "Fuggi, o figlio, sono qui!
Vedo gli scudi fiammanti e le armi che scintillano."
Allora non so che divinità nemica
mi sconvolse la mente confusa. Di gran corsa
vado per vie traverse, appartate, lasciando
tutte le strade più note. E qui, me infelice, il destino
mi porta via la moglie! Forse Creusa ha sbagliato
cammino, oppure stanca s'è fermata a sedere?
Lo ignoro; ma da allora non l'ho vista mai più.
Non mi girai a guardare se si fosse perduta
né pensai mai a lei prima d'essere giunto
alla collina di Cerere, al vecchio santuario.
Qui, riunitisi tutti, una sola mancò
desolando i compagni, il figlio ed il marito.
Chi, degli Dei e degli uomini, non accusai, demente
di dolore? Che cosa mi sembrò d'aver visto
nella città distrutta che superasse questa
perdita? Affido Ascanio, il padre Anchise e i Penati
di Troia ai miei compagni, che conduco a nascondersi
in una valle profonda. Poi ritorno in città
cinto delle splendide armi. Sono deciso
a ricominciare daccapo, a traversare Troia
quant'è larga ed espormi di nuovo al pericolo.
Rieccomi alle mura e alla porta deserta
ed oscura di dove ero uscito: cammino
sui miei passi, a ritroso nell'ombra, osservando
attentamente i luoghi già percorsi. Dovunque
mi si riempie l'anima d'orrore: lo stesso silenzio
l'assenza di segni di vita - mi sgomenta. Alla fine
arrivo a casa mia, a volte, per un caso,
Creusa vi fosse tornata. V'erano entrati i Greci
occupando l'intero palazzo. Ormai il fuoco
divoratore è spinto dal vento sino al tetto,
le fiamme balzano altissime, divampando nel cielo.
Procedendo rivedo le case e la rocca
di Priamo. Proprio qui, sotto i portici solitari
del tempio di Giunone, Fenice e il crudele Ulisse
- delegati a tal compito - montavano la guardia
al bottino. I tesori di Troia, rapinati
dalle case incendiate di tutta la città
formano un mucchio altissimo: mense sacre agli Dei,
coppe d'oro massiccio e vestiario predato.
Tutto all'intorno, in lunga fila, stanno fanciulli
e donne spaventate ...
Osai perfino gettare delle grida nell'ombra,
riempiendone le vie: afflitto, ripetendo
invano il nome di Creusa, la chiamai ancora
e ancora. E mentre la cercavo e m'aggiravo furioso
senza fine per tutte le case della città,
m'apparì la sua immagine infelice - l'immenso
suo fantasma - più alta e maestosa di come
non l'avessi mai vista. Ne sbigottii: i capelli
mi si drizzarono in testa, la voce mi morì in gola.
"Perché ti lasci andare ciecamente al dolore,
caro marito? - mi disse Creusa calmando un poco
i miei affanni. - Ciò che accade l'ha deciso
la ferma volontà dei Celesti: il destino
e il re dell' altissimo Olimpo non vogliono che tu porti
Creusa con te. Dovrai affrontare un lunghissimo
esilio, dovrai solcare largo spazio di mare,
e infine arriverai al paese d'Esperia
dove il Tevere lidio tranquillamente scorre
con un lene sussurro tra i campi fecondi
degli uomini. E là t'aspettano le ricchezze
del regno d'Italia e una moglie di sangue
reale: non piangere per la tua cara Creusa.
lo non vedrò le case superbe dei Mirmidoni
O dei Dolopi né andrò a servire in Grecia,
io che discendo da Dardano e sono nuora di Venere;
la gran madre divina Cibele mi trattiene
nei suoi luoghi, in eterno. E dunque ormai addio,
ricordati di me nell'amore di Iulo."
Mi lasciò in pianto mentre volevo ancora parlarle,
spari nell'aria sottile. Tre volte cercai invano
d'abbracciarla e tre volte l'immagine mi sfuggì,
simile ai venti leggeri, simile al sogno alato.
Soltanto allora, finita la notte, rividi i compagni.
Con molta meraviglia trovo che s'è riunita
gente nuova, in gran numero, uomini, donne, giovani,
una misera turba decisa a affrontare l'esilio.
Venuta da ogni parte per seguirmi dovunque
voglia condurli, oltremare. E già nasceva Lucifero
sugli alti gioghi dell'Ida, portando il giorno. I Greci
tenevano tutte le porte ben custodite: non c'era
speranza di riscossa. Perciò, costretto a cedere,
presi mio padre in spalla e mi diressi ai monti.

Dall'alto in basso: L'Incendio di Borgo, Raffaello Sanzio e aiuti, Stanze vaticane, 1514; Sacrificio di Enea ai Penati, Roma, Ara Pacis; Venere appare a Enea, Pietro da Cortona, Parigi, Louvre, 1630 - 1635; scene della città in fiamme dal film Troy, diretto da Wolfgang Petersen, 2004; Creusa in lacrime, particolare e l'opera completa da La fuga di Enea da Troia, Federico Barocci, Roma, Galleria Borghese, 1598; Enea, Anchise e Ascanio, gruppo scultoreo, Gian Lorenzo Bernini, Roma, Galleria Borghese, 1618 – 1619; Enea, Anchise e Ascanio da Storie di Enea, particolare della  volta della terza stanza da ciclo di affreschi a tempera su volte del Palazzo Pianetti, Jesi, Carlo Angelini Paolucci e Placido Lazzarini, 1781 – 1786; Enea e l'ombra di Creusa da Storie di Enea, Ludovico, Agostino e Annibale Carracci, Palazzo Fava, Bologna, 1595.