Religione romana

Pompei, Thermopolium di Lucio Vetuzio Placido.
Il Nume tutelare, genio della casa, affianco i Lari e i Penati, Mercurio sulla sinistra e Bacco sulla destra.
In seguito ai contatti con i popoli latini, sabini, etruschi e con gli immigrati greci, giudei, egizi e orientali in senso lato, effetto anche delle conquiste greche e fenicie nel mare mediterraneo, si realizza una nuova definizione delle divinità e delle loro prerogative.
Da un lato si consolida come stabile per il futuro la presenza di divinità arcaiche come i Lari, i Penati e i Mani, rispettivamente dèi della casa, della famiglia e dei morti, come anche Vesta dea del focolare e Giano bifronte in quanto dio dell’entrata e dell’uscita.
Dall'altro tra il III° e II° secolo a.C. si verifica un progressivo recepimento ed assimilazione di divinità greche e orientali. Giove, dio del cielo, Vulcano, dio del fuoco, Nettuno, dio delle acque, e cosi via, come divinità dei fenomeni naturali; quindi gli dèi della natura e dell’agricoltura, della casa e della famiglia, dei mestieri e delle professioni, dell’Oltretomba, in una molteplicità e varietà di riti adottati, i cui canoni i romani osservavano quasi ossessivamente.
In particolare questo forte rapporto dei romani con il sacro è attestato da Plutarco, attraverso il richiamo del ricorso all'asylum (dal greco ɑσυλον = inviolabile, protetto, in quanto luogo di rifugio) da parte di Romolo, negli ultimi anni del suo regno. Questa  particolare forma di protezione religiosa che garantiva l'immunità e l'accoglienza consentì il primo insediamento e il popolamento dell'urbe attraverso l'individuazione di un luogo sacro - nel Campidoglio tra il Tempio di Giove Ottimo Massimo e il Tempio di Giunone Moneta - per l'accoglienza di tutti coloro ai quali sarebbe stato concesso appunto un diritto di asilo, senza alcun tipo di discriminazione tra schiavi, poveri e omicidi, secondo le risultanze di un responso dell'oracolo di Delfi.
Il Re che ara - Romolo - part. del carrello di Bisenzio
Analogamente il pomerium (da post e moerus = murus, in quanto spazio lasciato libero, all'interno e all'esterno delle mura della città) rispondeva alle esigenze di sacralizzazione della città, la quale veniva sottratta alla libera disponibilità delle funzioni militari. Questo a partire da Romolo e successivamente con Servio Tullio, fino ad età imperiale inoltrata, anche quando il pomerium non aveva più l'importanza delle origini.
Il pomerium era un locus effatus et liberatus reso immune dalla presenza di divinità funeste mediante particolari formule religiose recitate da un'autorità religiosa, l'augure. Come attestato da Tito Livio (I, 44) la delimitazione dei confini di uno spazio abitato reso sacro, era un rito importato dal mondo etrusco, “…locus quem in condendis urbibus quondam Etrusci qua murum ducturi erant certis circa terminis inaugurato consecrabant, ut neque interiore parte aedificia moenibus continuarentur, quae nunc volgo etiam coniungunt, et extrinsecus puri aliquid ab humano cultu pateret soli. … et in urbis incremento semper quantum moenia processura erant tantum termini hi consecrati proferebantur.
...quello spazio che anticamente gli Etruschi, all'atto di fondare una città, delimitavano in modo rigoroso per poi costruirvi le mura e quindi consacravano con cerimonie augurali. … E ogni qual volta Roma conosceva degli ampliamenti urbanistici, questi limiti consacrati subivano sempre le stesse modifiche delle mura.
Erano poste fuori del pomerio le attività dei comizi centuriati, del popolo in armi o il tempio di Marte. Ulteriore esclusione era data per le sepolture che furono vietate entro il pomerium fino all'epoca cristiana. Unica eccezione alla proibizione per l'ingresso al suo interno era data per la celebrazione dei trionfi.
(2. continua)